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8 Marzo giornata Internazionale della Donna

Intitolazione parco in via Balbi

Nasce a Castelfranco Emilia il 16 marzo 1891, seconda dei dieci figli di Carlo Morini e Virginia Marchesini, entrambi braccianti agricoli. Donna in un tempo in cui le famiglie privilegiavano i maschi e per di più in una famiglia estremamente povera.

I Morini non hanno quasi nulla, ma quel poco che hanno provano a condividerlo aiutando indigenti e malati di tifo e pellagra. In quel poco che possiedono arriva alla fine degli anni novanta dell’Ottocento una bicicletta che le fonti definiscono “al limite della rottamazione”: d’altronde, quello possono permettersi. È con quella che Alfonsina inizia a pedalare. La domenica dice ai genitori che va a messa, in realtà gareggia e vince. La storia si ripete per diversi mesi, sino a che la madre, scoprendola, pone una condizione: la famiglia non intende sostenerla in questa passione; se vuole correre deve sposarsi e guadagnarsi da sola il denaro necessario.

Passano quasi quindici anni da quel giorno al matrimonio con Luigi Strada, meccanico e cesellatore milanese che diverrà il primo manager della ragazza, che come regalo di nozze chiese e ottenne una bicicletta. Strada diventerà il cognome di Alfonsina Morini, ma in fondo era già prima sostanza di vita per lei: la convinzione che solo la strada, reale o figurata, avrebbe potuto darle la forza per prendersi ciò che voleva, per opporsi all’odore di stantio delle convenzioni del periodo che le diede i natali. Per questo ancor prima del matrimonio si era spostata a Torino, città dov’era stata fondata l’Unione Velocipedistica Italiana, dove le donne potevano praticare ciclismo senza le malelingue della gente.

È nell’ambiente della città piemontese che inizia a porre le basi della futura carriera: riesce a sconfiggere la nota collega Giuseppina Carignano e forte del titolo di miglior ciclista italiana, dopo aver segnato il record mondiale di velocità in una gara femminile, parte per la Russia, per San Pietroburgo, dove arriverà ad essere premiata anche dallo Zar Nicola ll. Da lì, in Francia a gareggiare su pista dopo la segnalazione di Fabio Orlandini, de “La Gazzetta dello Sport“.

©CyclingTime, Twitter

Nel 1917 una ragazza si presenta alla sede centrale della redazione de “La Gazzetta dello Sport” chiedendo di parlare con Armando Cougnet, il patron delle gare organizzate dal medesimo giornale. La richiesta è chiara: partecipare al Giro di Lombardia. Quella ragazza è proprio la ventiseienne emiliana Alfonsina Morini Strada. Il sì arriva in poche ore. Strada, il 4 novembre del 1917, arriverà ultima a più di un’ora e mezzo dal vincitore, Thys. Comunque arriva, il traguardo lo taglia, qualcosa vorrà pur dire. Altri non hanno la stessa tenacia, eppure sono uomini. Una sorta di rivincita contro i pregiudizi, contro coloro che non smettono di bisbigliare commenti al vetriolo. Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. E non servono repliche, che pur Alfonsina Strada concede, ripetendo una simile impresa al Giro di Lombardia dell’anno seguente.

Nel 1924 Strada presenta per l’ennesima volta la richiesta di partecipare al Giro d’Italia maschile, autorizzazione sempre negatale fino ad allora. Se la richiesta quell’anno viene accettata non è certo per uno slancio di benevolenza o una particolare attenzione alla questione femminile da parte degli organizzatori. La questione è molto più pragmatica. Anche il Giro è in crisi: i grandi nomi richiedono ingaggi maggiori per la partecipazione e al rifiuto degli organizzatori decidono di disertare la corsa che a poche settimane dal via si ritrova orfana, fra gli altri, di Brunero, Girardengo e Bottecchia. Non solo: diversi organizzatori sono contrari alla partecipazione della Strada; temono che questa scelta possa caratterizzare la corsa rosa come una pagliacciata.

Il clima è caratterizzato da un mutismo ai limiti dell’omertà. I giornali, nell’elenco degli iscritti, non riportano il corretto nome di Alfonsina Strada: qualcuno parla di Alfonsin Strada, qualcuno muta la a in o e al numero 72 dell’edizione 1924 assegna il nome di Alfonsino Strada. Scelte che non fanno onore all’informazione, ma che rispecchiano perfettamente il clima e la mentalità di quegli anni. Quelli contro cui Alfonsina Strada, per scelta e necessità, si trovò a combattere.

Una competizione sofferta: 3.613 chilometri, dodici tappe, undici giorni di riposo, centootto gli iscritti ma solo novanta partenti. La partenza è già in salita per l’emiliana: più di due ore accumulate solo nella prima frazione a Genova, altrettante nella seconda a Firenze; ma non conta. Proprio “La Gazzetta dello Sport” scriverà: “Alfonsina non contende la palma a nessuno, vuole solo dimostrare che anche il sesso debole può compiere quello che compie il sesso forte. La grande e la piccola storia si fondono nelle pedalate della Morini-Strada: correre per combattere il pregiudizio e, combattendo il pregiudizio, riuscire a trovare i soldi per pagare la retta del manicomio in cui è ricoverato il marito. Qualunque cifra le venisse consegnata, l’operazione era di una meccanica commovente: immediato vaglia telegrafico a favore del marito. La gara di Alfonsina Strada si protrae per otto tappe: a Perugia, anche a causa di cadute ed incidenti meccanici (in una frazione era arrivata al traguardo con un manico di scopa al posto del manubrio) arriva fuori tempo massimo.

La scelta degli organizzatori è difficile: salvare Alfonsina Strada e mantenerla in gara tanto in virtù dei motivi che l’avevano mandata fuori tempo massimo quanto in virtù dei motivi che avevano fatto sì che la sua domanda di partecipazione venisse accettata, oppure applicare alla lettera il regolamento ed escluderla? Entrambe le soluzioni sono troppo draconiane per essere applicate; si opta per una terza via: Alfonsina Strada rimarrà in corsa, ma non in gara. Lei accetta.

All’arrivo a Fiume, distrutta, dichiarerà al “Guerin Sportivo“: “Sono una donna, è vero. E può darsi che non sia molto estetica e graziosa, una donna che corre in bicicletta. Vede come sono ridotta? Non sono mai stata bella; ora sono un mostro. Ma che dovevo fare? La puttana? Ho un marito al manicomio che devo aiutare; ho una bimba al collegio che mi costa dieci lire al giorno. Ad Aquila avevo raggranellato cinquecento lire che spedii subito e che mi servirono per mettere a posto tante cose. Ho le gambe buone, i pubblici di tutta Italia (specie le donne e le madri) mi trattano con entusiasmo. Non sono pentita. Ho avuto delle amarezze, qualcuno mi ha schernita; ma io sono soddisfatta e so di avere fatto bene”.

E sapere che il nome di Alfonsina Morini Strada figurerà fra i trenta nomi che concluderanno quel Giro d’Italia, sapere che lo farà senza impermeabili e cappello, con una bici ridotta in condizioni pietose, costretta persino ad indossare gli abiti prestati da un contadino al posto dell’usuale divisa nera.

Per questo Alfonsina Strada non si fermò ai rifiuti degli organizzatori tanto prima quanto dopo quel 1924. Conquistò trentasei corse battendo colleghi uomini, partecipò al primo campionato del mondo femminile, stabilì il Record dell’Ora e restò sino all’ultimo giorno di vita nel mondo delle gare, quello della Tre Valli Varesine del 1959, quando si sentì male e si spense proprio mentre riavviava la sua moto Guzzi dopo essere tornata a casa. Per questo Alfonsina Strada è ben più che una ciclista. Per questo Alfonsina Strada è una donna.

le notizie provengono da qui

https://www.suiveur.it/storie/mano-libera/raccontami-alfonsina-strada/

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